dic 17

Odio e libertà

In un mondo sempre più diviso e diverso, succede anche che il web ci riserva sorprese “amare”. Come questa che gira da qualche mese in Internet. Manifestazioni di piazza di islamici che inneggiano all’odio tra religioni diverse, plaudono agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, cavalcano la voglia di colonizzazione nel nome di Allah. Succede questo ed è necessario rispondere con i traguardi raggiunti dalla cultura occidentali, i valori del progresso nei diritti dell’uomo, la consapevolezza di essere “Diversi e divisi”.

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dic 15

Il Tar del Cairo riporta il velo

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Roma, 15 dic. (Apcom) - Stop al bando di portare il Niqab, il velo integrale islamico.  Una recente direttiva governativa ne vietava l’uso negli atenei del Paese.  La tv satellitare saudita, al Arabiya, riporta oggi la decisione del Tribunale Amministrativo di stato del Cairo che ha revocato la controversa decisione del ministero dell’istruzione di vietare il Niqab nelle Università del Paese. Il mese scorso, in una circolare firmata dal Ministro preposto all’istruzione, Hani Hilal, vietava l’ingresso alle studentesse che indossavano nella pubblica università il Niqab. Molte le proteste, le contestazioni, i rifiuti di aderire al divieto. Infine, la sentenza: “Indossare il Niqab – recita la motivazione del Tar egiziano – rientra nell’ambito dell’esercizio delle libertà individuali e non viola i vincoli delle legge vigenti ne le norme stabilite dalla costituzione”. Una vittoria della libertà di espressione di culto, non c’è che dire, ma una battaglia persa dallo Stato laico. O almeno, da un tentativo dello Stato Laico di emergere e affermarsi anche nei paesi arabi; si spera, in un futuro, come condizione condivisa e non imposta.

dic 09

Sudan: nel segno di Lubna

Il Sudan, Paese a maggioranza musulmana, dagli anni ottanta ha adottato la legge coranica come legge di Stato, valida per il 70% dei musulmani presenti sul territorio e talvolta subita dal restante 30% di cristiani e animisti. La Shari’a comporta l’adozione della pena di morte per reati quali la bestemmia contro Allah, l’adulterio, l’apostasia. Nel migliore dei casi la Shari’a può costare una manciata di frustate e l’obbligo al rispetto di norme religiose non condivise. Questo è accaduto ad una sedicenne cristiana di Khartoum, che passeggiava in un quartiere a sud della capitale con una gonna al ginocchio. Un poliziotto l’ha arrestata per abbigliamento indecoroso e dopo un processo sommario ha ricevuto 50 frustate come ammenda. La famiglia della ragazza si è rivolta ad  Azhari al-Hajj, avvocato e attivista per i diritti umani, che ha denunciato polizia e giudici. La motivazione: la ragazza è minorenne, cristiana, e durante l’arresto non le è stato permesso di comunicare con i propri genitori. Tutte violazioni della legge, sentenzia l’avvocato della ragazza. La Shari’a viene di norma applicata nel nord a maggioranza musulmana, ma non nel sud cristiano. La sedicenne Kashif e’ solo l’ultima vittima della furia  moralizzatrice delle forze dell’Ordine: in ottobre due donne furono condannate a 20 frustate per essere andate in giro con i pantaloni e senza il copricapo e nel luglio scorso la giornalista sudanese Lubna Ahmed Hussein aveva conquistato le pagine dei giornali internazionali per essere stata arrestata insieme ad altre 12 donne. Reato commmesso: le donne indossavano pantaloni in un locale pubblico. Solo in un Paese come il Sudan, provato da decenni di guerra civile, si può dare un senso all’arbitrarietà delle leggi, e ai rischi che si possono correre per un vestito sbagliato o una parola blasfema. Ma di fianco alla desolazione per notizie del genere, è confortante sapere che ci siano personalità e gruppi sociali che si oppongono, denunciano violazioni, richiamano la comunità internazionale sul problema dei diritti umani. E dimostrano che una quota viva e sana della popolazione esiste, conosce i propri diritti e li pretende. E non c’è legge di Dio che tenga.

dic 01

Diario di una convivenza

Riportiamo interamente l’intervento di Nello Rega per Rai Televideo nel quale descrive la sua vita fatta di paura e solidarietà, e gli ultimi accadimenti di queste settimane.

“Certamente la mia vita è cambiata, e non poco. Attimo per attimo la sensazione di poter essere colpito fisicamente dalla sentenza di morte che aleggia sulla mia testa è sempre più forte. La mattina, all’inizio di un nuovo giorno, mi attende un’altra sfida con la vita e la sopravvivenza. Ce la farò?. Questo interrogativo mi accompagna di ora in ora, al lavoro, a casa, per strada, al cinema o solo passeggiando. L’ultimo avvertimento, o meglio chiamarla minaccia esplicita e senza possibilità di fraintendimento, l’ho ricevuta venerdì scorso. Ho lasciato la mia auto davanti al garage di casa. Ho preso l’ascensore e sono entrato nel mio appartamento. Mi sono fermato una trentina di minuti, un caffè, due chiacchiere con mia madre. Poi, di nuovo verso l’auto. Arrivato alla portiera, la macabra scena. Sul sedile passeggero una testa di agnello, dappertutto sangue. Sono rimasto senza fiato, il cuore mi è arrivato in gola, gli occhi svuotati di vita. E’ stato drammatico, traumatizzante, scioccante. Sono rimasto qualche minuto a pensare, a riflettere al messaggio di morte contenuto in quella testa sgozzata. Poi, ho chiamato i carabinieri. Al loro arrivo la scena si è riproposta in tutta la sua drammaticità. Domande, rilievi di impronte, fotografie. Oggi non passa minuto che quella scena non torni ai miei occhi e mi faccia ricordare, come se ce ne fosse bisogno, che sono in pericolo di vita. Ma quella di venerdì scorso è solo l’ultima di una lunga serie di scene raccapriccianti. Le minacce di morte a firma di Hezbollah (movimento sciita libanese che si oppone duramente a Israele ed è appoggiato e finanziato da Siria e Iran) sono cominciate diversi mesi fa. Dapprima lettere trovate sullo zerbino di casa con un coltello conficcato su una mia foto, poi un mio libro ‘violato’ nei suoi contenuti da un lungo chiodo. E ancora: lettere anonime a casa di mia madre a Potenza. In tutte le missive il mio nome era ripetuto diverse volte e sempre affianco alla scritta ‘sei morto perché abbiamo deciso che devi morire nel nome di Allah’. Due mesi fa i miei ‘giustizieri’ hanno alzato il tiro. Questa volta le buste arrivate a casa a Roma, a casa a Potenza, sul parabrezza della mia auto nel parcheggio Rai di Saxa Rubra a Roma contenevano proiettili. Ovviamente sempre indirizzate a me e sempre con la sentenza di morte a firma di Hezbollah. Una sentenza di morte alla quale non posso rispondere se non con le regolari denunce presentate ai carabinieri e la speranza di una indagine della magistratura che porti velocemente a inchiodare i responsabili di questi atti intimidatori. Nel frattempo la mia esistenza ha preso una piega diversa. La Prefettura di Potenza, attraverso il Comitato Ordine Pubblico e Sicurezza ha deciso misure di sicurezza per tutelarmi. Misure, però, che non hanno avuto lo stesso riscontro da parte della Prefettura di Roma. La mia vita nella capitale, dove lavoro, è quindi ‘protetta’ in minima parte dalle forze dell’ordine ed è affidata allo ‘sguardo divino’. Secondo questi personaggi, non ho altri termini per definirli, sono colpevole di aver scritto un libro (‘Diversi e divisi – Diario di una convivenza con l’Islam’) con Raffaele Gerardi – che ha curato anche i disegni all’interno del testo, nel quale parlo di cosa sia, documenti dei teologi musulmani alla mano, l’Islam. Una sorta di romanzo-saggio che, attraverso il racconto di una convivenza tra un uomo cattolico italiano e una donna sciita libanese, ripercorre i punti salienti della religione musulmana. Ne esce un quadro di grande difficoltà per il dialogo tra Cristianesimo e Islam, un dialogo reso molto controverso per i precetti propri dell’Islam. Ancora oggi, infatti, il mondo musulmano relega a un ruolo di inferiorità la donna, uccide in Iran gli omosessuali, impone l’infibulazione, prevede la poligamia. Precetti e dogmi, questi, diversi dal mondo occidentale e che dividono le due sponde del Mediterraneo. Nonostante le minacce di morte, il mio lavoro continua. Ho deciso come dovere civico quello di non fermarmi davanti a chi vigliaccamente vuole imbavagliare la libertà di espressione, uno dei capisaldi del vivere civile e delle conquiste della modernità. Non mollo davanti a chi vuole intimidirmi anche se la scelta non è senza rischi e paura. Come quelli di non aver ancora oggi ricevuto risposte concrete da parte dello Stato sulla mia sicurezza. Nonostante il lavoro incessante dei carabinieri, che sono diventati i miei angeli custodi, non mi è stata assegnata una scorta che certamente potrebbe farmi vivere meglio e senza rischi. Sono avvolto, e ne sono onorato, da una coltre di solidarietà che mi da la forza di andare avanti. Prima di tutto la mia Testata, il mio direttore, i miei colleghi. Poi, e non è poco, quello della Federazione nazionale della Stampa e dell’Osservatorio Ossigeno di Alberto Spampinato, dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, dell’Ordine regionale di Basilicata della Stampa, dell’Associazione Stampa Romana, dell’UsigRai. Soggetti che hanno chiesto ripetutamente al ministro dell’Interno Maroni misure maggiori di sicurezza. Tanti anche i messaggi di gente comune, che ha appreso le notizie guardando un telegiornale o sfogliando i quotidiani. E, un grande ringraziamento a un comitato spontaneo, fondato da Paolo Sinisgalli di Gallicchio, in provincia di Potenza, che porta avanti una raccolta di firme da inviare al ministro Maroni per una scorta nei miei confronti. Anche scrivendo questa testimonianza di ‘quotidiana insicurezza e paura’, i miei pensieri sono tornati lì, sul sedile della mia auto dove una testa di agnello mi ha avvertito di essere in pericolo. Ancora una volta, minacce senza ragione e senza verità. Fino a quando?”

nov 30

Il punto della situazione/2

Qualche giorno fa, nuove minacce ai danni dell’autore. Questa volta è emerso il lato più feroce e violento della minaccia, quello che lascia poco all’immaginazione. Invitiamo tutti a firmare per ottenere insieme l’assegnazione di una scorta per Nello Rega, sul sito della Pro Loco Gallicchio. Grazie a tutti.
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nov 24

Perversioni a Teheran

orgia Tra le notizie dal mondo, colpisce una curiosa vicenda fresca giunta dall’Iran: la polizia religiosa ha arrestato una decina di coppie dedite ad orge e scambi di partner. Secondo il quotidiano conservatore Jomhuri Eslami, gli incontri venivano organizzati grazie ad un sito web di nome  ”Iran Moltiplicato”, che coordinava luoghi e tempi dei rendez-vous orgiastici. Le coppie, composte da laureati e funzionari -alcune con figli- avevano relazioni sessuali in presenza di altri o con più partners. Un’abitudine sessuale malsana e tutto sommato occidentale, che è costato l’arresto agli sfortunati praticanti; non siamo mica in Svezia, cari scambisti iraniani. In Iran la messa in pratica delle fantasie sessuali può costare molto cara, l’arresto in questo caso. Ed è bizzarro che una vicenda del genere venga alla luce, poiché il regime iraniano iper-conservatore tende ad oscurare storie dai particolari boccacceschi come questa. Esse potrebbero turbare le menti dei governanti e dei funzionari, e l’illusione di controllo delle coscienze dello stato teocratico. Ma le Guardie della Rivoluzione erano state chiare annunciando, già nel marzo di quest’anno, un giro di vite per reprimere siti pornografici e anti-islamici. E di fronte a fenomeni che scalpitano (non ultime le proteste contro i brogli elettorali), basta chiudere gli occhi. E terminano così i conflitti, gli interrogativi, le crisi di coscienza. Semplice, no?

nov 23

Il punto della situazione

Cosa è accaduto in questi mesi per tutelare i giornalisti ed il diritto di cronaca? In che direzione si stanno muovendo le istituzioni per garantire una rete di protezione adeguata? Come è possibile che la minaccia sia ancora un mezzo per imbavagliare, in una realtà democratica come la nostra? Un punto della situazione verrà tracciato e discusso oggi, insieme a “Diversi e Divisi”. A Palazzo Marini, Roma.
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nov 19

Diversi e Divisi per LibanItaly

“Diversi e Divisi” è un viaggio che inizia due mesi fa, a Potenza, con lo scopo di maturare dialogo, punti di vista, opinioni a confronto. Tutto ciò, con il supporto morale di LibanItaly, ovvero con la consapevolezza di dare un senso concreto e reale alle azioni, agli incontri, ai chilometri percorsi giorno dopo giorno. Adesso LibanItaly riparte con un nuovo traguardo, un progetto da realizzare grazie anche a “Diversi e Divisi”, alla catena di solidarietà e attenzione che ha generato e alimentato in queste settimane. A Jbeil, Libano, il centro giovanile-oratorio dei Salesiani ha bisogno di fondi e attrezzature per le proprie attività. Strumenti per laboratori teatrali, intrattenimento multimediale, attrezzature sportive, materiale di studio:  tutto il possibile per migliorare l’azione sociale ed educativa del centro sul territorio. Da semplici costumi di scena per le rappresentazioni, ai computer per permettere ai ragazzi di navigare in rete, i videoproiettori e le fotocopiatrici per le attività di gruppo: beni di prima necessità per i bambini del centro e gli educatori. La collaborazione con i Salesiani Cooperatori (www.sdb.org ) avrà lo scopo di convogliare le energie di LibanItaly per migliorare le condizioni del Centro Don Bosco di Jbeil. Una parte del ricavato delle vendite di “Diversi e Divisi” alimenterà il progetto illustrato:  il viaggio di queste settimane avrà finalmente un volto, delle voci, una speranza.

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…un velo di speranza!

nov 03

Libertà di non credere, ovvero i mille volti dell’oppressione

Questa storia capovolta arriva dagli Stati Uniti, per esattezza dal “Meltin’ Pot” per eccellenza, New York City. Accade che nella notte tra il 31 e l’1 novembre una donna tenti di sgozzare il marito durante il sonno, riuscendo solamente nell’intento di ferirlo. La coppia musulmana era ai ferri corti: lui era troppo occidentale per i gusti di lei. La donna -Rabia Sarwar, 37 anni- di origine Pakistana, si è dichiarata colpevole di tentato omicidio ed è stata rilasciata dopo il pagamento di una cauzione da 25000 dollari. A proposito del marito, ha dichiarato: “Mi faceva fare troppe cose contrarie all’Islam, io obbedivo ma dentro di me era scoppiata una guerra”. Voleva costringerla a pratiche indegne e aberranti: mangiare maiale, indossare pantaloni corti o bere alcolici. Lei ha utilizzato un triste modus operandi del diritto di famiglia islamico, quello che soffoca nella violenza i contrasti ideologici tra membri dello stesso nucleo. Ebbene una donna vissuta per tutta la sua vita secondo i dettami del Corano, cresciuta con la consapevolezza che quella sia la via unica per la salvezza, viene costretta a cambiare abitudini, legge, opinione. Ma del resto lui è il marito, e da buon musulmano -responsabile spirituale e morale del nucleo familiare-  ordina alla moglie cosa essere o non essere. Il gesto di Rabia Sarwar è un ennesimo barbaro uso della violenza “di fede”, nato in un contesto di maschilismo e violenza psicologica. Un contesto nel quale il marito può costringere la moglie a calpestare i divieti e le pratiche imposti dalla religione. Divieti e pratiche che lei, tutto sommato, avrebbe il diritto di praticare, seppure per educazione o ignoranza. Non di imporre ma di adempiere almeno; è un suo diritto. L’Articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. Do ut  des. Altrimenti si rischia di cadere nelle falle del pensiero liberista, rischiando ragionamenti da totalitarismo laico.