Libertà di non credere, ovvero i mille volti dell’oppressione

Questa storia capovolta arriva dagli Stati Uniti, per esattezza dal “Meltin’ Pot” per eccellenza, New York City. Accade che nella notte tra il 31 e l’1 novembre una donna tenti di sgozzare il marito durante il sonno, riuscendo solamente nell’intento di ferirlo. La coppia musulmana era ai ferri corti: lui era troppo occidentale per i gusti di lei. La donna -Rabia Sarwar, 37 anni- di origine Pakistana, si è dichiarata colpevole di tentato omicidio ed è stata rilasciata dopo il pagamento di una cauzione da 25000 dollari. A proposito del marito, ha dichiarato: “Mi faceva fare troppe cose contrarie all’Islam, io obbedivo ma dentro di me era scoppiata una guerra”. Voleva costringerla a pratiche indegne e aberranti: mangiare maiale, indossare pantaloni corti o bere alcolici. Lei ha utilizzato un triste modus operandi del diritto di famiglia islamico, quello che soffoca nella violenza i contrasti ideologici tra membri dello stesso nucleo. Ebbene una donna vissuta per tutta la sua vita secondo i dettami del Corano, cresciuta con la consapevolezza che quella sia la via unica per la salvezza, viene costretta a cambiare abitudini, legge, opinione. Ma del resto lui è il marito, e da buon musulmano -responsabile spirituale e morale del nucleo familiare-  ordina alla moglie cosa essere o non essere. Il gesto di Rabia Sarwar è un ennesimo barbaro uso della violenza “di fede”, nato in un contesto di maschilismo e violenza psicologica. Un contesto nel quale il marito può costringere la moglie a calpestare i divieti e le pratiche imposti dalla religione. Divieti e pratiche che lei, tutto sommato, avrebbe il diritto di praticare, seppure per educazione o ignoranza. Non di imporre ma di adempiere almeno; è un suo diritto. L’Articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. Do ut  des. Altrimenti si rischia di cadere nelle falle del pensiero liberista, rischiando ragionamenti da totalitarismo laico.