Sudan: nel segno di Lubna

Il Sudan, Paese a maggioranza musulmana, dagli anni ottanta ha adottato la legge coranica come legge di Stato, valida per il 70% dei musulmani presenti sul territorio e talvolta subita dal restante 30% di cristiani e animisti. La Shari’a comporta l’adozione della pena di morte per reati quali la bestemmia contro Allah, l’adulterio, l’apostasia. Nel migliore dei casi la Shari’a può costare una manciata di frustate e l’obbligo al rispetto di norme religiose non condivise. Questo è accaduto ad una sedicenne cristiana di Khartoum, che passeggiava in un quartiere a sud della capitale con una gonna al ginocchio. Un poliziotto l’ha arrestata per abbigliamento indecoroso e dopo un processo sommario ha ricevuto 50 frustate come ammenda. La famiglia della ragazza si è rivolta ad  Azhari al-Hajj, avvocato e attivista per i diritti umani, che ha denunciato polizia e giudici. La motivazione: la ragazza è minorenne, cristiana, e durante l’arresto non le è stato permesso di comunicare con i propri genitori. Tutte violazioni della legge, sentenzia l’avvocato della ragazza. La Shari’a viene di norma applicata nel nord a maggioranza musulmana, ma non nel sud cristiano. La sedicenne Kashif e’ solo l’ultima vittima della furia  moralizzatrice delle forze dell’Ordine: in ottobre due donne furono condannate a 20 frustate per essere andate in giro con i pantaloni e senza il copricapo e nel luglio scorso la giornalista sudanese Lubna Ahmed Hussein aveva conquistato le pagine dei giornali internazionali per essere stata arrestata insieme ad altre 12 donne. Reato commmesso: le donne indossavano pantaloni in un locale pubblico. Solo in un Paese come il Sudan, provato da decenni di guerra civile, si può dare un senso all’arbitrarietà delle leggi, e ai rischi che si possono correre per un vestito sbagliato o una parola blasfema. Ma di fianco alla desolazione per notizie del genere, è confortante sapere che ci siano personalità e gruppi sociali che si oppongono, denunciano violazioni, richiamano la comunità internazionale sul problema dei diritti umani. E dimostrano che una quota viva e sana della popolazione esiste, conosce i propri diritti e li pretende. E non c’è legge di Dio che tenga.