Un’altra storia di islam intransigente si intreccia con le libertà personali e insanguina le nostre cronache. Solo nel 2006 la ventenne Hina Saleem fu uccisa dal padre e sotterrata in giardino, con la complicità dei parenti, perché “non era una buona musulmana”. Di qualche giorno fa invece la notizia dell’uccisione di Sanaaa Dafani, diciottenne di origini marocchine, nata e cresciuta nel nostro Paese. Aveva una relazione con un ragazzo più grande di lei, per giunta italiano e cattolico. Il Corano vieta espressamente unioni tra donne musulmane e uomini di altre religioni, inoltre la coppia aveva deciso di convivere di lì a pochi mesi. Il padre non approvava la condotta della ragazza, e dopo svariate minacce, è passato ai fatti. Ha accoltellato a morte lei alla gola, e ferito lui che cercava di difenderla. Di lì a poco è arrivata anche la confessione del delitto da parte del padre, El Ketawi Dafani, 45 anni, aiuto cuoco in un ristorante di Pordenone, in Italia oramai da anni. La domanda che ci si pone davanti a fatti come questi è la seguente: è accettabile che la religione sia più forte delle leggi del proprio Paese adottivo? Seguirne i principi, al punto da cancellarne altri più primitivi, umani e nobili, è fede cieca o follia lucida? Sembra addirittura ovvio che non si possa chiedere ad una giovane donna di stare all’interno di una società ma, allo stesso tempo, di viverne al di fuori. Segregarsi in una meta-patria ideologica, a metà tra il Marocco e l’Italia. Non è realizzabile la fantasia di creare un micro-stato islamico all’interno di una famiglia o di una comunità nel quale vige una diversa legislazione condivisa e parallela a quella ufficiale. L’islam è legato ad una forma arcaica di diritto familiare che in Italia è stata abolita negli anni settanta, e non è accettabile che riviva in episodi del genere. In primo luogo, la pari dignità tra i coniugi è legge; mentre nel Corano è chiaramente indicata la superiorità morale e giuridica del capofamiglia rispetto agli altri membri del nucleo familiare, in particolare le donne. Ciò implica il diritto di vita e di morte su mogli e figlie, riesumando l’ormai dimenticato e primitivo delitto d’onore. Ad esempio in Iran un delitto d’onore viene punito con la detenzione dai 3 ai 6 anni, mentre un omicidio prevede come pena l’impiccagione. Ma siamo in Italia, non dimentichiamolo mai, nel bene e nel male. Si è lottato per anni per abolire queste forme barbariche di pensiero ed azione, e ancora si lotta, costantemente. Il mondo musulmano dovrebbe prendere posizioni ben precise sul rispetto delle leggi italiane – in particolare, qui, del diritto di famiglia-, senza esitazioni, senza silenzi o complicità. Conservare se stessi a patto di rispettare le leggi, completamente.