feb 21

Una drammatica rilettura di Thelma e Louise

KABUL – Due donne afghane, sposate contro la loro volontà nella provincia occidentale di Ghor e fuggite dai rispettivi mariti un mese fa, sono state arrestate dalla polizia e riconsegnate alle famiglie. Obbedendo al decreto emanato da un’autorità religiosa locale, i familiari le hanno fatte frustare in pubblico. Lo scrive l’agenzia di stampa Pajhwok. La fustigazione è stata condannata come “atto immorale e fuorilegge” da responsabili locali ed esponenti di organizzazioni di difesa dei diritti umani da tutto il mondo. Le donne, originarie del distretto di Dolina, erano fuggite nella vicina provincia di Herat dove, ha detto il portavoce del governatore di Ghor, Abdul Hai Khatibi, sono state trovate dagli agenti, nonostante fossero vestite da uomini, e riportate a casa. Si erano travestite per sopravvivere alla fuga, e per un mese hanno vissuto di elemosina nella speranza di una svolta definitiva e positiva. Khatibi ha detto che “la punizione stabilita da un ulema di 45 frustate in pubblico, è stata avallata dai capi talebani e dai responsabili della comunità religiosa della zona“. Il vicecapo della polizia di Dolina, Jiahan Shah, ha detto che le donne erano fuggite da casa perché stanche di essere sottoposte a violenze e percosse, e che la fustigazione è stata realizzata con l’approvazione di Fazl Ahad, un ex comandante attivo contro l’invasione sovietica.

feb 01

BANGLADESH: STUPRATA, RICEVE 101 FRUSTRATE

Otto mesi dopo lo stupro, una sedicenne di un villaggio in Bangladesh, ha ricevuto 101 frustate come “punizione” perché rimasta incinta durante la violenza. Allo stupratore invece non e’ stato torto neanche un capello. La “consulta” degli anziani del villaggio ha invece condannato il padre della ragazza a una multa, minacciandolo che sarà cacciato insieme alla famiglia se non pagherà. Le scudisciate sono state inferte alla giovane subito dopo la sentenza, il 17 gennaio.

Nell’aprile dell’anno scorso, nel distretto di Brahmanbaria, una ragazza venne violentata mentre andava a scuola: lo stupratore era da un ragazzo di un villaggio vicino, che la molestava da tempo. Sopraffatta dalla vergogna, la giovane non lo denunciò. Nel frattempo la famiglia di lei decisa di farla sposare, ma dopo un mese dalle nozze i test rivelarono che la ragazza era incinta al settimo mese. Ripudiata e dopo l’aborto, la giovane é tornata a vivere con la famiglia d’origine. Ma un gruppo di influenti anziani locali ha deciso che doveva essere punita. Il “processo” é avvenuto nel giardino di casa della vittima. Secondo il Daily Star, il quotidiano locale che ha raccontato l’inumana vicenda, al culmine del supplizio la ragazzina é svenuta e rimasta priva di sensi per due ore

gen 20

Fomentare la morte

Immagini che il comune senso della pace si rifiuta di accettare. Testimonianza di come le diversità religione possano facilmente diventare uno strumento di controllo e manipolazione del malcontento, delle ingiustizie, del divario economico e culturale tra mondi.  L’odio dei pochi -le èlites economiche e politiche- diviene l’odio di tutti gli altri . La constatazione della necessità di affermare e difendere – insistentemente- i diritti, la laicità, il pluralismo d’opinione, l’educazione delle coscienze come coscienze libere e libertarie. Tutto ciò non può avvenire nelle teocrazie, nei regimi anti-libertari, nell’oscurantismo della fede cieca.

Tutti gli spiriti che servono il male sono schiavi.” P.B.Shelley

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Contro il fanatismo globalizzato, “Esportiamo Diritti!

gen 05

Poligamia al femminile

La battaglia per i diritti delle donne nel mondo arabo passa anche attraverso il paradosso. In Arabia Saudita la giornalista e scrittrice Nadin al Badir, qualche settimana fa ha scritto un articolo nel quale proponeva la poligamia anche per le donne. Citata in giudizio dai conservatori, Nadin si chiede “perché nel mondo musulmano le donne non possono avere più di un compagno per la vita?”. Il suo intervento, apparso sul giornale egiziano al-Masri al-Youm, ipotizza un nucleo familiare con la donna come figura centrale, e quattro mariti di contorno. Abdallah Bin Sulaiman al-Muni, membro della commissione dei Grandi Ulema, ha definito la giornalista “deviata e sobillatrice”, paragonandola ad una figura negativa nell’islam, lo zio del profeta Maometto Abu Lahab. Dall’Università al Azhar, si è levato il grido del docente di giurisprudenza religiosa comparata Abdul Fattah Idris, secondo il quale la poligamia maschile è anche una soluzione di utilità, poiché il matrimonio plurimo dell’uomo offre maggiori possibilità alle zitelle e alle divorziate. Quindi, è una misura a favore delle donne, si potrebbe concludere. Peccato che anche in questo caso, come per tutti gli altri, le uniche a non essere state interpellate su tale opportunità siano proprio le donne.  La tv egiziana, intanto, prepara un serial, già pluridenunciato, su una donna con quattro mariti, in cerca del quinto. Che qualcosa si stia muovendo nell’opinione pubblica araba, con l’arma dell’ironia e della provocazione?

dic 17

Odio e libertà

In un mondo sempre più diviso e diverso, succede anche che il web ci riserva sorprese “amare”. Come questa che gira da qualche mese in Internet. Manifestazioni di piazza di islamici che inneggiano all’odio tra religioni diverse, plaudono agli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, cavalcano la voglia di colonizzazione nel nome di Allah. Succede questo ed è necessario rispondere con i traguardi raggiunti dalla cultura occidentali, i valori del progresso nei diritti dell’uomo, la consapevolezza di essere “Diversi e divisi”.

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dic 15

Il Tar del Cairo riporta il velo

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Roma, 15 dic. (Apcom) - Stop al bando di portare il Niqab, il velo integrale islamico.  Una recente direttiva governativa ne vietava l’uso negli atenei del Paese.  La tv satellitare saudita, al Arabiya, riporta oggi la decisione del Tribunale Amministrativo di stato del Cairo che ha revocato la controversa decisione del ministero dell’istruzione di vietare il Niqab nelle Università del Paese. Il mese scorso, in una circolare firmata dal Ministro preposto all’istruzione, Hani Hilal, vietava l’ingresso alle studentesse che indossavano nella pubblica università il Niqab. Molte le proteste, le contestazioni, i rifiuti di aderire al divieto. Infine, la sentenza: “Indossare il Niqab – recita la motivazione del Tar egiziano – rientra nell’ambito dell’esercizio delle libertà individuali e non viola i vincoli delle legge vigenti ne le norme stabilite dalla costituzione”. Una vittoria della libertà di espressione di culto, non c’è che dire, ma una battaglia persa dallo Stato laico. O almeno, da un tentativo dello Stato Laico di emergere e affermarsi anche nei paesi arabi; si spera, in un futuro, come condizione condivisa e non imposta.

dic 09

Sudan: nel segno di Lubna

Il Sudan, Paese a maggioranza musulmana, dagli anni ottanta ha adottato la legge coranica come legge di Stato, valida per il 70% dei musulmani presenti sul territorio e talvolta subita dal restante 30% di cristiani e animisti. La Shari’a comporta l’adozione della pena di morte per reati quali la bestemmia contro Allah, l’adulterio, l’apostasia. Nel migliore dei casi la Shari’a può costare una manciata di frustate e l’obbligo al rispetto di norme religiose non condivise. Questo è accaduto ad una sedicenne cristiana di Khartoum, che passeggiava in un quartiere a sud della capitale con una gonna al ginocchio. Un poliziotto l’ha arrestata per abbigliamento indecoroso e dopo un processo sommario ha ricevuto 50 frustate come ammenda. La famiglia della ragazza si è rivolta ad  Azhari al-Hajj, avvocato e attivista per i diritti umani, che ha denunciato polizia e giudici. La motivazione: la ragazza è minorenne, cristiana, e durante l’arresto non le è stato permesso di comunicare con i propri genitori. Tutte violazioni della legge, sentenzia l’avvocato della ragazza. La Shari’a viene di norma applicata nel nord a maggioranza musulmana, ma non nel sud cristiano. La sedicenne Kashif e’ solo l’ultima vittima della furia  moralizzatrice delle forze dell’Ordine: in ottobre due donne furono condannate a 20 frustate per essere andate in giro con i pantaloni e senza il copricapo e nel luglio scorso la giornalista sudanese Lubna Ahmed Hussein aveva conquistato le pagine dei giornali internazionali per essere stata arrestata insieme ad altre 12 donne. Reato commmesso: le donne indossavano pantaloni in un locale pubblico. Solo in un Paese come il Sudan, provato da decenni di guerra civile, si può dare un senso all’arbitrarietà delle leggi, e ai rischi che si possono correre per un vestito sbagliato o una parola blasfema. Ma di fianco alla desolazione per notizie del genere, è confortante sapere che ci siano personalità e gruppi sociali che si oppongono, denunciano violazioni, richiamano la comunità internazionale sul problema dei diritti umani. E dimostrano che una quota viva e sana della popolazione esiste, conosce i propri diritti e li pretende. E non c’è legge di Dio che tenga.